Gesù al fiume Giordano non fa preferenza di persone. E noi?
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 3, 13-17)
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ‘ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
Gesù dalla Galilea viene al Giordano. Ci va perché lì Giovanni fa il suo famoso gesto di penitenza, l’immersione nel fiume. Ma va anche a quel fiume che secoli prima era stato guadato dal popolo di Israele, liberato dalla schiavitù dell’Egitto, per accedere alla terra promessa. Non a caso la tappa successiva che avrà in serbo lo Spirito per l’esordiente Messia sarà il deserto con le sue prove.
Il battesimo di Giovanni con Gesù diventa un’altra cosa: Giovanni non vorrebbe fare questo gesto di pentimento su chi è senza peccato. Gesù supera la sua opposizione. Scopriamo così che l’immersione nel fiume Giordano, nel caso di Gesù, non serve per segnare un cambio di vita, ma rivela, tramite lo Spirito, chi è Gesù, il Figlio di Dio, destinato ad essere ponte e accesso verso i cieli aperti.
Dal resto delle letture ci viene segnalato che la missione a cui è chiamato Gesù sarà per la liberazione dalla schiavitù (non più quella attuata dagli egiziani, ma quella dal peccato e dalla morte) e rivolta a tutti, sia verso Israele che verso le Nazioni, cioè gli altri popoli. Ancora più esplicite saranno le parole di Pietro negli Atti degli apostoli: «Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». La solidarietà con ogni uomo prigioniero del peccato e della morte, rappresentato negli altri vangeli con il mischiarsi di Gesù con la gente, con il suo mettersi in fila come gli altri (assente in Matteo a favore di un concentrarsi dell’attenzione sulle due figure del precursore e del Messia) è completato attraverso l’insieme di tutti questi riferimenti.
Rimane la domanda: ci sentiamo parte di quel popolo prigioniero che sta per essere liberato da Gesù? Ci sentiamo parte di quell’umanità in fila dove ogni differenza diventa fraternità nella ricerca comune di una difficile felicità? Oppure riteniamo che in fondo quelli messi male siano altri e che le nostre mancanze d’amore non siano così gravi e così invalidanti?
Facendo correre l’immaginazione oltre le intenzioni dell’evangelista osiamo figurarci che. nell’occidente di oggi, dove la gente si autoassolve dicendo a sé stessa che, in fondo, essere un po’ egoisti è normale e anche giusto, forse davvero Giovanni e Gesù resterebbero soli soletti al Giordano senza peccatori.
Ad ogni alba una voce ripete le tre parole del Giordano, e più forte ancora in quelle più ricche di tenebra: figlio mio, mio amore, mia gioia, riserva di coraggio che apre le ali sopra ciascuno di noi, che ci aiuta a spingere verso l’alto, con tutta la forza, qualsiasi cielo oscuro che incontriamo.
p. Ermes Ronchi
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Gesù al fiume Giordano non fa preferenza di persone. E noi?
Gesù dalla Galilea viene al Giordano. Ci va perché lì Giovanni fa il suo famoso gesto di penitenza, l’immersione nel fiume. Ma va anche a quel fiume che secoli prima era stato guadato dal popolo di Israele, liberato dalla schiavitù dell’Egitto, per accedere alla terra promessa. Non a caso la tappa successiva che avrà in serbo lo Spirito per l’esordiente Messia sarà il deserto con le sue prove.
Il battesimo di Giovanni con Gesù diventa un’altra cosa: Giovanni non vorrebbe fare questo gesto di pentimento su chi è senza peccato. Gesù supera la sua opposizione. Scopriamo così che l’immersione nel fiume Giordano, nel caso di Gesù, non serve per segnare un cambio di vita, ma rivela, tramite lo Spirito, chi è Gesù, il Figlio di Dio, destinato ad essere ponte e accesso verso i cieli aperti.
Dal resto delle letture ci viene segnalato che la missione a cui è chiamato Gesù sarà per la liberazione dalla schiavitù (non più quella attuata dagli egiziani, ma quella dal peccato e dalla morte) e rivolta a tutti, sia verso Israele che verso le Nazioni, cioè gli altri popoli. Ancora più esplicite saranno le parole di Pietro negli Atti degli apostoli: «Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». La solidarietà con ogni uomo prigioniero del peccato e della morte, rappresentato negli altri vangeli con il mischiarsi di Gesù con la gente, con il suo mettersi in fila come gli altri (assente in Matteo a favore di un concentrarsi dell’attenzione sulle due figure del precursore e del Messia) è completato attraverso l’insieme di tutti questi riferimenti.
Rimane la domanda: ci sentiamo parte di quel popolo prigioniero che sta per essere liberato da Gesù? Ci sentiamo parte di quell’umanità in fila dove ogni differenza diventa fraternità nella ricerca comune di una difficile felicità? Oppure riteniamo che in fondo quelli messi male siano altri e che le nostre mancanze d’amore non siano così gravi e così invalidanti?
Facendo correre l’immaginazione oltre le intenzioni dell’evangelista osiamo figurarci che. nell’occidente di oggi, dove la gente si autoassolve dicendo a sé stessa che, in fondo, essere un po’ egoisti è normale e anche giusto, forse davvero Giovanni e Gesù resterebbero soli soletti al Giordano senza peccatori.
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