Non abbiate paura di essere missionari
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 10, 26-33)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
Il brano di Vangelo di oggi è tratto dal capitolo decimo del Vangelo di Matteo, in cui sono raccolte le parole di Gesù che formano il cosiddetto “discorso missionario”. Abbiamo visto domenica scorsa da dove scaturiscono queste parole: Gesù vede le folle e prova compassione, perché le vede stanche e sfinite, perse come pecore che non hanno pastore. Per questo invia i suoi discepoli. Per questo invia la Chiesa di ogni tempo. Per questo invia anche noi.
Non si tratta di andare tutti a fare i missionari in posti come l’Africa o l’America Latina (magari qualcuno sì), ma di essere discepoli e comunità che annunciano il Vangelo là dove sono. E, prima ancora, di togliersi dalla testa che “terra di missione” è in altri continenti e in altre nazioni. Anche Chiuro e Castionetto sono paesi di missione! L’altra cosa da togliersi dalla testa è che, se proprio non siamo tutti evangelizzati, tocca al prete … Oggi, come e ancor più di sempre, la Chiesa deve essere missionaria là dove si trova e i cristiani che vivono l’esperienza bella del discepolo sono chiamati a condividerla con altri.
Gesù ci dice che spesso non siamo missionari perché ci lasciamo imprigionare da alcune paure.
Innanzitutto la paura di aprirsi e cambiare, che non solo ci rende timidi nel condividere la nostra fede, ma addirittura non ci fa sentire l’esigenza di approfondirla, fino a che essa diventa un mistero per noi e per gli altri e un tabù sempre più vago di cui non parlare.
La seconda paura che blocca la missionarietà della Chiesa è il credere di dover fare da soli e di dover avere chissà quale preparazione. In realtà Dio si prende cura di noi e noi collaboriamo con Lui nella corsa della Parola tra le nostre strade e le nostre case.
La terza paura è il timore di perdere le proprie sicurezze comunitarie, i propri ritmi, le proprie tradizioni e le proprie consuetudini. Il terrore di prendere l’iniziativa pubblicamente, di scoprirsi e abbassare le difese, di scoprirsi vulnerabili al giudizio degli altri.
Oggi ci si chiede spesso in che cosa il cristiano si distingue dal non cristiano. A noi sembra che non si sarebbe lontani dalla verità se si rispondesse: dal modo in cui vince la paura. La liberazione da una certa forma di paura: questa è la vittoria della nostra fede. “Per coloro che sono murati tutto è muro, anche una porta aperta”, diceva qualcuno. È fuor di dubbio che l’avvenire è minaccioso, i nostri migliori amici ci tradiranno, la solitudine ci schiaccerà in certi giorni, il nostro peccato sarà più pesante della nostra speranza e la morte continua ad essere la grande incognita che spaventa. Ma Cristo è venuto a liberarci dalle nostre catene, soprattutto da quelle dell’angoscia umana.
p. Claude Geffré
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Il brano di Vangelo di oggi è tratto dal capitolo decimo del Vangelo di Matteo, in cui sono raccolte le parole di Gesù che formano il cosiddetto “discorso missionario”. Abbiamo visto domenica scorsa da dove scaturiscono queste parole: Gesù vede le folle e prova compassione, perché le vede stanche e sfinite, perse come pecore che non hanno pastore. Per questo invia i suoi discepoli. Per questo invia la Chiesa di ogni tempo. Per questo invia anche noi.
Non si tratta di andare tutti a fare i missionari in posti come l’Africa o l’America Latina (magari qualcuno sì), ma di essere discepoli e comunità che annunciano il Vangelo là dove sono. E, prima ancora, di togliersi dalla testa che “terra di missione” è in altri continenti e in altre nazioni. Anche Chiuro e Castionetto sono paesi di missione! L’altra cosa da togliersi dalla testa è che, se proprio non siamo tutti evangelizzati, tocca al prete … Oggi, come e ancor più di sempre, la Chiesa deve essere missionaria là dove si trova e i cristiani che vivono l’esperienza bella del discepolo sono chiamati a condividerla con altri.
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Innanzitutto la paura di aprirsi e cambiare, che non solo ci rende timidi nel condividere la nostra fede, ma addirittura non ci fa sentire l’esigenza di approfondirla, fino a che essa diventa un mistero per noi e per gli altri e un tabù sempre più vago di cui non parlare.
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