Un discepolo e una comunità davvero missionari per un annuncio davvero degno di Cristo
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 10, 37-42)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Il Vangelo proposto per questa domenica conclude il “discorso missionario” di Gesù, uno dei cinque discorsi che caratterizzano la parte centrale dell’opera di Matteo.
Il discorso ha avuto il suo inizio dallo sguardo di compassione di Gesù sulle folle, coloro che non hanno ancora scelto la via del discepolato e dell’appartenenza al Maestro, alla fine del capitolo 9. Per questo sono “stanche e sfinite”. In queste poche parole ascoltate nel nostro tempo c’è tutto il mondo di oggi, fatto di appartenenze e legami deboli e sentiti come una costrizione. Per poi ritrovarsi stanchi e sfiniti di fronte al non senso e alla precarietà. Per questo Gesù istituisce e manda i 12 come missionari con un annuncio di liberazione. Da qui parte il discorso che trova la sua conclusione nel brano che ascoltiamo oggi.
Nella prima parte del vangelo di questa domenica abbiamo le condizioni grazie alle quali il discepolo e la comunità missionaria porta un annuncio e una testimonianza degna di Cristo. Innanzitutto, riprendendo il tema dei legami, anche famigliari, Gesù tocca un tema importante, la famiglia, e come fa spesso, sorprendendoci, lo relativizza. Nella società del tempo della Bibbia le relazioni padre-figlio e marito-moglie erano caratterizzate da uno statuto giuridico di possesso. Il discepolo di Gesù, invece, deve vivere amori liberanti, che non chiudono. Le relazioni devono essere un trampolino verso un amore e una missione più grandi che le include. ma che va anche oltre esse. Per lo stesso Gesù i legami famigliari e di clan sono stati spesso stimolo al dono di sé, ma in molti episodi sono stati inglobanti e ostacolo da superare o lasciare in vista della sua missione.
Le condizioni per un annuncio degno di Cristo che seguono sono la capacità di portare la propria croce e il dono della vita: quali fatiche sono chiamati a portare i discepoli e le comunità consapevoli di essere, qui in Valtellina, in cammino e missionarie? Che cosa sono chiamate a dare agli altri e quali atteggiamenti, abitudini, schemi mentali sono chiamate ad abbandonare?
Infine, nella seconda parte del vangelo di oggi, il discepolo missionario e la sua comunità sono chiamati a riconoscere l’azione dello Spirito che li accompagna e che, spesso, li precede. Anche nel piccolo gesto di porgere un bicchiere di acqua fresca.
«Accoglienza e distacco si unificano nella pienezza dell’amore. Esso è povertà, liberazione dal possedere e dall’egoismo. Esso è anche ricerca amorosa del povero, dello straniero, dell’emarginato, dell’immigrato, del carcerato, della persona sola, dell’anziano».
card. Gianfranco Ravasi
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