Il ricordo del Signore è gioia di liberazione e salvezza
Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 3, 14-21)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
La possibile chiave per aprirci al messaggio contenuto nella Parola di Dio proposta questa domenica potrebbe essere il versetto del salmo responsoriale: «Il ricordo di te, Signore, è la mia gioia».
Il testo del salmo, poi, ci immerge nella nostalgia struggente per la propria terra di quegli ebrei che vissero i fatti descritti nella prima lettura, cioè il collasso del regno di Giuda, provocato dalle infedeltà del popolo e dei suoi capi, la conquista e la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio ad opera dei babilonesi e la deportazione e l’esilio in Babilonia. Al tristissimo canto dell’esule che racconta la nostalgia per un mondo che ormai non c’è più è però abbinato quel versetto che gli contrappone una gioia, rappresentato dal “ricordo” del Signore.
Questo “ricordo” non è una nostalgia di un passato che non ritornerà, ma la memoria di chi è il Dio che da sempre e sempre interviene nella storia educando e prendendosi cura del suo popolo. Esattamente come succede nella sintesi di avvenimenti raccontata dalla prima lettura che interpreta le aperture del re di Persia Ciro come intervento di Dio.
Questa azione di cura e di liberazione di Dio nei confronti dell’umanità attraversa tutta la storia. Non sono le nostre opere a salvarci ma la grazia dell’opera di salvezza di Dio. Ricordarci sempre del Signore che interviene per la nostra salvezza, anche e soprattutto nelle tenebre più scure della storia e della nostra vita personale, è la nostra gioia. E questa gioia cambia anche le nostre opere. Non siamo salvati perché “facciamo buone azioni”, ma “facciamo buone azioni” (cioè la nostra vita cambia in meglio) perché siamo salvati. Il ricordo e il credere che il dono della vita di Gesù ci ha salvati ci cambia la vita e le opere.
È quel che lo stesso Gesù tenta di spiegare, nel vangelo, ad un Nicodemo ormai ammutolito. Il Messia, interpellato da questo fariseo inquieto, usa l’immagine del serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto per salvare dal veleno dei rettili il popolo. In questo modo indica nella sua morte in croce e nella sua risurrezione la salvezza dal veleno del peccato e della morte. E come la fede in questa salvezza fa passare dalle tenebre alla luce e cambia la vita.
La fede non è credere che Dio esiste, ma è credere che Dio ti ama da morire e che ti salva. Ricordiamocelo sempre. Perché in questo ricordo è la nostra gioia.
Ogni uomo deve scoprire da se stesso il segreto di Gesù. E anche se impariamo da altri chi è Gesù, e anche se altri hanno la missione di insegnarcelo, solo attraverso un’esperienza intimamente personale sapremo chi egli è veramente. […] Ti conosco veramente, Signore? O conosco solo ciò che ho letto di te, ciò che ho sentito dire su di te?
Un monaco della Chiesa d’Oriente
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Il testo del salmo, poi, ci immerge nella nostalgia struggente per la propria terra di quegli ebrei che vissero i fatti descritti nella prima lettura, cioè il collasso del regno di Giuda, provocato dalle infedeltà del popolo e dei suoi capi, la conquista e la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio ad opera dei babilonesi e la deportazione e l’esilio in Babilonia. Al tristissimo canto dell’esule che racconta la nostalgia per un mondo che ormai non c’è più è però abbinato quel versetto che gli contrappone una gioia, rappresentato dal “ricordo” del Signore.
Questo “ricordo” non è una nostalgia di un passato che non ritornerà, ma la memoria di chi è il Dio che da sempre e sempre interviene nella storia educando e prendendosi cura del suo popolo. Esattamente come succede nella sintesi di avvenimenti raccontata dalla prima lettura che interpreta le aperture del re di Persia Ciro come intervento di Dio.
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La fede non è credere che Dio esiste, ma è credere che Dio ti ama da morire e che ti salva. Ricordiamocelo sempre. Perché in questo ricordo è la nostra gioia.
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