Nel battesimo diventiamo figli del Dio Trinità
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 28, 16-20)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Succede alle persone che diventano genitori, come a tutti, di essere individui con la loro storia, la loro identità, il proprio carattere, un nome, un cognome, un lavoro o un ruolo sociale che li definisce. Eppure, nel momento in cui diventano genitori, per i loro figli, saranno definiti quasi esclusivamente da quella relazione: saranno solo “il mio Papà” o “la mia Mamma”.
Le letture di oggi sembrano suggerirci che gran parte del nostro rapporto con Dio funzioni così … Mosè dice: “è il nostro Dio, il Dio che ha scelto proprio noi come popolo”; Paolo e Matteo ci sussurrano insistentemente dai loro scritti: “siamo tutti stati battezzati nel Suo nome e col battesimo siamo diventati figli di Dio, perciò possiamo chiamarlo Papà”.
Poi i figli crescono e, dall’adolescenza, ricercano in maniera più o meno conflittuale un’identità e una personalità ulteriori a quella di figlio, che si affacci oltre l’ombra di quella relazione genitoriale. Portato avanti a sufficienza questo processo e sentendosi abbastanza sicuro di sé, può succedere che il figlio, ormai giovane adulto, cominci ad essere curioso di conoscere le persone dei genitori in sé, indipendentemente dal rapporto famigliare, e magari anche ad apprezzare e prendere ispirazione dal loro percorso di vita o da qualche loro caratteristica. Ciò che fino a qualche tempo prima il figlio, in una sana fase di contestazione adolescenziale, criticava allo scopo far emergere la propria individualità, può succedere che, ora, lo ritrovi dentro di sé e lo senta parte della propria identità.
Come scopriamo che i nostri genitori hanno un nome e un cognome, dei ruoli e delle storie che vanno oltre all’aver generato noi, così scopriamo che Dio è Trinità, che il nome del nostro Dio, del Dio cristiano, è “Padre, Figlio e Spirito Santo”. Con tutto quel che ne consegue a livello teologico. O meglio, quel poco che ne riusciamo ad intuire. E, quasi senza accorgerci, in quei “tre che si vogliono talmente bene da essere uno solo” ritroviamo il desiderio di amare un’altra persona, una famiglia, una comunità, il prossimo, Dio stesso fino ad essere una sola cosa. Quel desiderio che abbiamo ricercato e trovato dentro di noi ora ci viene rivelato come vero nome di Dio.
Tutto l’Antico Testamento non fa che balbettare la prima lettera del nome sacro (che è anche la prima dell’alfabeto): A, a, a, e solo al Figlio è stato dato di pronunciarlo e metterlo sulle nostre labbra nella sua forma perfetta: Abbà, Padre. Padre nostro che sei nei cieli.
Paul Claudel
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Succede alle persone che diventano genitori, come a tutti, di essere individui con la loro storia, la loro identità, il proprio carattere, un nome, un cognome, un lavoro o un ruolo sociale che li definisce. Eppure, nel momento in cui diventano genitori, per i loro figli, saranno definiti quasi esclusivamente da quella relazione: saranno solo “il mio Papà” o “la mia Mamma”.
Le letture di oggi sembrano suggerirci che gran parte del nostro rapporto con Dio funzioni così … Mosè dice: “è il nostro Dio, il Dio che ha scelto proprio noi come popolo”; Paolo e Matteo ci sussurrano insistentemente dai loro scritti: “siamo tutti stati battezzati nel Suo nome e col battesimo siamo diventati figli di Dio, perciò possiamo chiamarlo Papà”.
Poi i figli crescono e, dall’adolescenza, ricercano in maniera più o meno conflittuale un’identità e una personalità ulteriori a quella di figlio, che si affacci oltre l’ombra di quella relazione genitoriale. Portato avanti a sufficienza questo processo e sentendosi abbastanza sicuro di sé, può succedere che il figlio, ormai giovane adulto, cominci ad essere curioso di conoscere le persone dei genitori in sé, indipendentemente dal rapporto famigliare, e magari anche ad apprezzare e prendere ispirazione dal loro percorso di vita o da qualche loro caratteristica. Ciò che fino a qualche tempo prima il figlio, in una sana fase di contestazione adolescenziale, criticava allo scopo far emergere la propria individualità, può succedere che, ora, lo ritrovi dentro di sé e lo senta parte della propria identità.
Come scopriamo che i nostri genitori hanno un nome e un cognome, dei ruoli e delle storie che vanno oltre all’aver generato noi, così scopriamo che Dio è Trinità, che il nome del nostro Dio, del Dio cristiano, è “Padre, Figlio e Spirito Santo”. Con tutto quel che ne consegue a livello teologico. O meglio, quel poco che ne riusciamo ad intuire. E, quasi senza accorgerci, in quei “tre che si vogliono talmente bene da essere uno solo” ritroviamo il desiderio di amare un’altra persona, una famiglia, una comunità, il prossimo, Dio stesso fino ad essere una sola cosa. Quel desiderio che abbiamo ricercato e trovato dentro di noi ora ci viene rivelato come vero nome di Dio.
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