Parabole per comunità impazienti
Dal vangelo secondo Marco (Mc 4, 26-34)
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Ogni brano di vangelo, ascoltato nella fede, ha almeno tre destinatari: le persone a cui parlava Gesù, le comunità per cui l’evangelista scrisse (nel caso di Marco, probabilmente, la comunità cristiana di Roma) e, infine, le comunità cristiane e gli uomini e donne di ogni tempo a cui Dio parla in modo sempre nuovo attraverso queste parole antiche. Queste parole antiche sono rivolte, allora, anche a noi, comunità pastorale di Chiuro e Castionetto, oggi, 16 giugno 2024, e ci parlano in maniera sorprendentemente nuova e adatta al momento storico e ecclesiale che stiamo vivendo.
Gesù propone due parabole sul regno di Dio. Un regno di Dio che Gesù ha annunciato vicino ma che le folle presenti alla predicazione del Maestro di Nazareth si aspettano dirompente; la comunità di Roma al tempo di Marco, provata dalle persecuzioni, vorrebbe risolutorio; le nostre comunità, in transito in un tempo di crescente secolarizzazione e preoccupate dal costante calo di presenze alle messe, sono dolorosamente rassegnate a un suo declino.
Gesù insiste, nella prima parabola, sul potere generativo intrinseco nel seme e sul necessario nascondimento della sua azione. Così è il regno di Dio. La parte principale non la facciamo noi. C’è una azione, misteriosa e nascosta nei cuori, operata dalla Parola di Dio. Noi dobbiamo assecondare questa Opera di Dio e, soprattutto, sopportare questa inevitabile fatica di non sapere come e quando «il seme germoglia e cresce». Fidandosi che la mietitura verrà. Magari in modi nuovi e che stravolgeranno le nostre aspettative.
Nella seconda parabola l’insistenza di Gesù è sul contrasto tra la piccolezza del seme e la grandezza della pianta della senape. Spesso questa piccolezza del vangelo la scambiamo per inadeguatezza ai nostri tempi difficili, presi da altre questioni più profane, distratti da strumenti digitali invasivi. E siamo tentati di ritenere decisivi i progetti, le modalità di comunicazione, di celebrazione o di catechesi, le novità o, a seconda delle preferenze o delle convinzioni di ciascuno, il ritorno a tradizioni più affidabili e collaudate. La buona notizia che ci annuncia la parabola è la grandezza della pianta e il fatto che essa sarà casa e riparo per tanti e per tutti (gli uccelli del cielo rappresentano i popoli non ebrei, lontani da Dio).
Questo è un tempo in cui non vediamo il seme, in cui tutto ci sembra perduto e inadeguato. Eppure la Parola di Dio ci dice che è solo la stagione in cui il piccolo seme, sotto terra, prepara una nuova e inaspettata rinascita. E magari, senza che noi ci accorgessimo, sono spuntate già alcune fragili fronde sotto cui qualcuno ha già trovato casa e riparo.
Fratelli miei, dobbiamo frantumare questo granello di senape per saggiarne tutta la forza descritta da questa parabola. Cristo è re, poiché è il principio di ogni autorità. Cristo è il regno, poiché in lui abita tutta la gloria del suo regno. Cristo è uomo, poiché in lui viene rinnovato tutto l’uomo. Cristo è il granello di senape, lo strumento di cui Dio si serve per far discendere la sua grandezza nell’estrema piccolezza dell’uomo. Che dirò ancora? Lui stesso è diventato ogni cosa per rinnovare tutti gli uomini in lui. … Egli ha gettato il seme nel suo giardino … Esso ha messo radici quando ha promesso il suo regno ai patriarchi, è nato con i profeti, è cresciuto con gli apostoli ed è diventato l’albero immenso che stende i suoi innumerevoli rami sulla Chiesa, prodigandole i suoi doni.
Pietro Crisologo
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Ogni brano di vangelo, ascoltato nella fede, ha almeno tre destinatari: le persone a cui parlava Gesù, le comunità per cui l’evangelista scrisse (nel caso di Marco, probabilmente, la comunità cristiana di Roma) e, infine, le comunità cristiane e gli uomini e donne di ogni tempo a cui Dio parla in modo sempre nuovo attraverso queste parole antiche. Queste parole antiche sono rivolte, allora, anche a noi, comunità pastorale di Chiuro e Castionetto, oggi, 16 giugno 2024, e ci parlano in maniera sorprendentemente nuova e adatta al momento storico e ecclesiale che stiamo vivendo.
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Nella seconda parabola l’insistenza di Gesù è sul contrasto tra la piccolezza del seme e la grandezza della pianta della senape. Spesso questa piccolezza del vangelo la scambiamo per inadeguatezza ai nostri tempi difficili, presi da altre questioni più profane, distratti da strumenti digitali invasivi. E siamo tentati di ritenere decisivi i progetti, le modalità di comunicazione, di celebrazione o di catechesi, le novità o, a seconda delle preferenze o delle convinzioni di ciascuno, il ritorno a tradizioni più affidabili e collaudate. La buona notizia che ci annuncia la parabola è la grandezza della pianta e il fatto che essa sarà casa e riparo per tanti e per tutti (gli uccelli del cielo rappresentano i popoli non ebrei, lontani da Dio).
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