Gesù, come Geremia ed Ezechiele, profeta disprezzato da quelli del suo paese e dalla sua famiglia
Dal vangelo secondo Marco (Mc 6, 1-6)
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Il vangelo di questa domenica presenta Gesù come il profeta respinto nella sua patria, visto con scetticismo e sufficienza anche dai suoi parenti. La prima lettura si premura di accostarlo ai grandi profeti incompresi come Ezechiele e Geremia, mostrandoci ancora una volta come, nella interpretazione cristiana della Bibbia, il Nuovo Testamento possa gettare luci inedite sull’Antico.
I compaesani di Gesù sono scandalizzati dal contrasto tra la figura messianica che hanno davanti, ormai famosa in tutta la Galilea, e la considerazione che hanno di lui a Nazareth e, in particolare, nella sua famiglia. È lo stesso Gesù a definirsi profeta disprezzato nella sua patria, ma, in particolare «tra i suoi parenti e in casa sua».
Abbiamo ascoltato, poche domeniche fa, come il clan famigliare di Gesù, considerandolo fuori di sé, abbia tentato di farlo desistere dalla sua missione e di riportarlo a casa. Vediamo l’amarezza per la poca comprensione (almeno iniziale) dei propri parenti, laddove con durezza Gesù relativizza l’obbedienza alla propria famiglia d’origine alla missione per annunciare il Regno di Dio: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo».
In questo vangelo possiamo vedere in filigrana due questioni.
La prima riguarda, da sempre, i rapporti intergenerazionali e la fatica fatta dai giovani per staccarsi dalle aspettative della propria famiglia di origine e trovare una propria e inedita strada. Il vangelo mostra un’empatia particolare per i giovani e per il loro futuro. Tanto da far propria più volte l’espressione veterotestamentaria secondo cui devono essere i padri a volgere il loro cuore verso i figli.
La seconda questione riguarda il mondo contemporaneo e i tipi di società che si sono formate in esso. Gesù e la spiritualità in genere non sono sentite lontane nei classici “paesi di missione”. Gesù è tenuto a distanza ed è profeta incompreso specialmente in quelle terre ricche, chiamati “paesi occidentali”, che per secoli sono stati considerati la patria del cristianesimo. Mentre nei continenti del sud del mondo fioriscono vocazioni e spiritualità, in un’occidente stanco e arido si fatica a capire il “Padre Nostro” e a considerare fratelli quei battezzati che provengono da fuori. Davvero «un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».
Allora, come qualsiasi uomo, Gesù era considerato corruttibile e mortale e questo costituiva un problema – in questo corpo umano nel quale senza mutamento e senza alterazione, egli, Dio senza forma e invisibile, aveva preso forma, mostrandosi completamente uomo, senza offrire allo sguardo nulla di diverso dagli altri uomini, ma mangiando, bevendo e dormendo, sudando, affaticandosi e compiendo, eccetto il peccato, tutte le azioni umane -, era un vero problema riconoscerlo in quelle condizioni e credere che era Dio, colui che ha creato il cielo, la terra e tutto ciò che essi contengono».
Simeone il Nuovo Teologo
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