Uno stile ecclesiale che evangelizza: essere poveri e liberi “dentro” ma anche “fuori”
Dal vangelo secondo Marco (Mc 6, 7-13)
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Il brano evangelico di oggi è inserito in un momento di forte crisi nella missione di Gesù. Occorre sconfinare da questo vangelo a quello di settimana scorsa, immediatamente precedente anche nel testo di Marco: Gesù si scopre respinto e screditato proprio nella sua patria e tra i suoi famigliari e, stupito per la loro mancanza di fede, non può compiere alcun miracolo. La storia potrebbe bloccarsi di fronte a questo bruciante rifiuto, ma, con un colpo di reni, riprende con il protagonista che subito riparte per i villaggi d’intorno e rilancia, cambiando tattica e moltiplicando per dodici gli sforzi. Tale contesto fa del brano di questa domenica il vangelo di un Cristo e una Chiesa che soffrono la non accoglienza della secolarizzazione, ma che sanno che la possibilità di essere respinti è parte integrante della missione; è normale che in qualche luogo non si sia accolti ed è normale che in qualche luogo non si sia ascoltati (anche per questo le istruzioni di Gesù ai dodici prevedono questo caso). Ma deve essere normale anche ritentarci, in altro contesto e in altro modo. Perché siamo così spaventati, stanchi e inermi di fronte alla situazione religiosa contemporanea?
Altri due elementi ci colpiscono nel brano: quel che si dice di non portare e quel che si dice di avere con sé.
Gesù indica uno stile di missione estremamente povero ed essenziale che conta sull’ospitalità dei fratelli ebrei. Esso è raccomandato nel contesto palestinese dove l’ospitalità è un dovere sacro e praticato da tutti. Paolo indicherà in un contesto pagano, dove non era radicato questo comandamento, uno stile non meno sobrio ma diverso, basato sul lavoro e l’autosufficienza economica. La missione, con uno stile povero ed essenziale, si deve incarnare nel contesto storico, culturale ed economico in cui avviene.
Marco, accanto ai tanti strumenti da non portare, indica una modalità della missione («a due a due») e, a differenza di Matteo e Luca, due cose da avere con sé (il bastone e i sandali). Egli deve presentarsi come “uomo della comunità e dell’amore vicendevole” (due è il numero di persone minimo per costruire una relazione fraterna e costituire una comunità), “uomo della Pasqua e del cammino, portatore di liberazione e salvezza” (il bastone rimanda alla cena pasquale dell’esodo mangiata in fretta, con i calzari ai piedi e il bastone in mano), “uomo che attende come prossimo il banchetto messianico nel compimento del Regno” (la parola usata per “sandali” non indica la calzatura da viaggio, ma quella più leggera e raffinata, da festa).
Nella vita cristiana non si può essere poveri solo “dentro”: l’essere conta quanto e più del dire e lo stile del messaggero è già messaggio.
Il discepolo è missionario di Cristo, libero, non condizionato da schemi e da interessi, da giochi politici o sociali ma legato alla fedeltà alla Parola. La sua donazione è totale, la povertà è indispensabile per non essere solo funzionari.
card. Gianfranco Ravasi
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