La carne del povero, il sangue della ferialità e l’abitare in Cristo sono le coordinate del palazzo della Sapienza
Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 51-58)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
La Parola di Dio di questa domenica ci accoglie alla soglia della casa di donna Sapienza, un palazzo splendido con sette colonne. La casa è aperta ad ogni persona, invitata ad incontrare colei che può dare felicità e gusto della vita, e la tavola è imbandita. Dai punti più alti della città le ancelle di donna Sapienza proclamano il messaggio a tutti, ma, innanzitutto, sono invitati quelli che sono inesperti, hanno bisogno e sono poveri di senno e di preparazione nella vita.
Il salmo precisa che la pietanza da gustare e il sale che dà sapore alla vita presenti al banchetto della Sapienza sono la relazione con il Signore («Gustate e vedete com’è buono il Signore»).
Paolo raccomanda ai cristiani di Efeso la partecipazione frequente e abbondante al banchetto della Sapienza: «fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi».
Avendo affinato l’appetito con queste suggestioni bibliche entriamo meno sprovveduti nella sezione del “discorso del pane di vita” di questa settimana. All’immagine della carne (l’umanità considerata nella sua debolezza, povertà e limite) si aggiunge quella del sangue (simbolo della vita). Questi sono alimenti che danno una esistenza eterna nel tempo (dura anche al di là della morte, nella risurrezione) e una vita solida, affidabile e resistente agli imprevisti, alle fatiche e alle sofferenze. Tutto questo lo troviamo in due forme nel banchetto della messa: alla mensa della Parola e alla mensa dell’Eucaristia.
Ne derivano due riflessioni, una liturgica e una sapienziale.
La liturgia della Parola non è semplice preparazione alla liturgia eucaristica e alla consumazione materiale delle specie consacrate, ma tutto è alimento indispensabile per il cristiano e per la comunità. Dobbiamo abituarci a vivere in questo spirito la liturgia della Parola domenicale. Anche in vista di tempi in cui, per necessità, si cominceranno a vivere nelle comunità, alternate alle celebrazioni eucaristiche presiedute da un sacerdote, anche liturgie della Parola animate da ministri laici. La Parola di Dio è vero cibo e vera bevanda per la comunità, diverso ma non inferiore all’Eucaristia.
Quando «i giorni sono cattivi» (lo erano al tempo di Paolo e lo sono oggi), la Chiesa ha il dovere di riscoprire e far riscoprire quella sapienza che può dare felicità e gusto della vita, nella consapevolezza che ciò che distingue il saggio e lo sprovveduto, colui che sa vivere e il senza senno, non è quel che a loro capita, ma come reagiscono e vivono quel che a loro capita. La vivace e multiforme storia della spiritualità e della sapienza cristiana ci insegna che niente forma di più del contatto con la carne dell’umanità ferita, debole e marginale e con il sangue della vita quotidiana, concreta, fatta di persone e di lavoro. La stessa carne e lo stesso sangue di Cristo, fatti di amore, servizio e dono di sé che apre a nuova vita.
Alla fine scopriamo anche “l’indirizzo” del palazzo della Sapienza («dove abiti?» Gv 1, 38): la casa dove si impara a vivere è dove la presenza di Gesù è cibo, bevanda, abitazione («Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue abita/dimora in me e io in lui»).
Due cose sento assolutamente necessarie in questa vita, senza le quali essa mi sarebbe insopportabile con le sue miserie. Imprigionato nel carcere di questo corpo, di due cose confesso di avere bisogno: di cibo e di luce. Per questo tu donasti a me infermo il tuo corpo a ristoro dell’anima e del corpo mio, e ponesti la tua parola come luce la mio cammino (Sal 119, 105). Senza queste due cose, non potrei vivere bene; infatti, la parola di Dio è luce dell’anima e il tuo sacramento è pane di vita. Si potrebbe anche chiamarle due mense, situate una di qua e una di là nel tesoro della santa Chiesa.
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Il salmo precisa che la pietanza da gustare e il sale che dà sapore alla vita presenti al banchetto della Sapienza sono la relazione con il Signore («Gustate e vedete com’è buono il Signore»).
Paolo raccomanda ai cristiani di Efeso la partecipazione frequente e abbondante al banchetto della Sapienza: «fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi».
Avendo affinato l’appetito con queste suggestioni bibliche entriamo meno sprovveduti nella sezione del “discorso del pane di vita” di questa settimana. All’immagine della carne (l’umanità considerata nella sua debolezza, povertà e limite) si aggiunge quella del sangue (simbolo della vita). Questi sono alimenti che danno una esistenza eterna nel tempo (dura anche al di là della morte, nella risurrezione) e una vita solida, affidabile e resistente agli imprevisti, alle fatiche e alle sofferenze. Tutto questo lo troviamo in due forme nel banchetto della messa: alla mensa della Parola e alla mensa dell’Eucaristia.
Ne derivano due riflessioni, una liturgica e una sapienziale.
La liturgia della Parola non è semplice preparazione alla liturgia eucaristica e alla consumazione materiale delle specie consacrate, ma tutto è alimento indispensabile per il cristiano e per la comunità. Dobbiamo abituarci a vivere in questo spirito la liturgia della Parola domenicale. Anche in vista di tempi in cui, per necessità, si cominceranno a vivere nelle comunità, alternate alle celebrazioni eucaristiche presiedute da un sacerdote, anche liturgie della Parola animate da ministri laici. La Parola di Dio è vero cibo e vera bevanda per la comunità, diverso ma non inferiore all’Eucaristia.
Quando «i giorni sono cattivi» (lo erano al tempo di Paolo e lo sono oggi), la Chiesa ha il dovere di riscoprire e far riscoprire quella sapienza che può dare felicità e gusto della vita, nella consapevolezza che ciò che distingue il saggio e lo sprovveduto, colui che sa vivere e il senza senno, non è quel che a loro capita, ma come reagiscono e vivono quel che a loro capita. La vivace e multiforme storia della spiritualità e della sapienza cristiana ci insegna che niente forma di più del contatto con la carne dell’umanità ferita, debole e marginale e con il sangue della vita quotidiana, concreta, fatta di persone e di lavoro. La stessa carne e lo stesso sangue di Cristo, fatti di amore, servizio e dono di sé che apre a nuova vita.
Alla fine scopriamo anche “l’indirizzo” del palazzo della Sapienza («dove abiti?» Gv 1, 38): la casa dove si impara a vivere è dove la presenza di Gesù è cibo, bevanda, abitazione («Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue abita/dimora in me e io in lui»).
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