«Effatà»! Per non essere analfabeti del Vangelo
Dal vangelo secondo Marco (Mc 7, 31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
La Parola di Dio esige un orecchio attento e una mente mai sazia. La Parola di Dio non tollera letture superficiali o che chiudano troppo in fretta domande o ulteriori interpretazioni o strati di significato. Secondo la tradizione ebraica sono 70 i “volti” della Torah, ovvero i significati di ogni parola della Sacra Scrittura. Per ascoltare nella fede le letture domenicali occorre un primo sguardo globale per orientarci.
Tutto può essere utile per aprire le nostre orecchie e le nostre menti ai significati più profondi della Parola di Dio. Anche la geografia. Dopo essere stato per qualche tempo nella Fenicia, regione pagana, Gesù parte da una città di quella zona, Tiro e, invece di scendere verso sud-est in Galilea, sale per 25 km fino a Sidone e poi scende con una larga curva per stare fuori dai confini di Israele, fino ad attraversare tutto il territorio della Decapoli. In queste pagine di vangelo Gesù decide di stare ai margini, in terra pagana, disprezzata, periferica rispetto al mondo ebraico. Questa indicazione, unita alle tante sollecitazioni delle altre letture e del salmo, inquadra la Parola di Dio di questa domenica dentro la rivelazione di un Dio che compie meraviglie, preferibilmente per i marginali, gli ammalati, gli «oppressi», gli «affamati», i «prigionieri», i poveri e tutti coloro che sono disprezzati e umiliati, un Dio che «fa udire i sordi e fa parlare i muti».
Ci fermiamo ora sull’episodio evangelico leggendolo inizialmente in superficie: è un racconto di un miracolo di guarigione. Alcuni portano da Gesù un sordomuto. Come altri hanno “portato” il paralitico e altri ancora “porteranno” il cieco di Betsaida. È una persona ferita dalla malattia nella sua autonomia e nella sua capacità di relazione. Gesù, invece della semplice imposizione delle mani suggerita, prende in disparte l’ammalato e usa una procedura terapeutica più complessa: gli pone le dita sugli orecchi e, bagnando il dito con la saliva (la quale, secondo la medicina pagana, possiede una forza curativa), sulla lingua. I movimenti delle mani di Gesù sono accompagnati da un intenso atteggiamento orante: leva gli occhi al cielo a stabilire un contatto con il Padre ed emette un gemito, che esprime un forte coinvolgimento ed emozione. Poi l’imperativo in lingua aramaica: «Effatà», cioè: «Apriti!». Segue la guarigione completa, innanzitutto dell’udito e poi del linguaggio, in due tempi. Infatti la capacità di parlare correttamente dipende anche dalla capacità di udire. E la guarigione implica una riappropriazione della propria autonomia e una integrazione sociale. Il segreto messianico chiesto da Gesù e non rispettato, e lo stupore concludono il brano.
Scavando nel brano ad un livello di significato più profondo e tenendo conto delle influenze che questo brano ha avuto sulla liturgia battesimale, ci accorgiamo che il racconto non è solo la storia di un ammalato, ma in filigrana anche la storia di ogni catecumeno e di ogni discepolo. Infatti, nella celebrazione del sacramento del battesimo i gesti e le parole di Gesù sono riproposti nel cosiddetto “rito dell’Effatà”. Ecco, allora, gli anonimi che portano il sordomuto a Gesù prendere i volti di una comunità che accompagna ed ecco che, nel “prendere in disparte”, al di fuori dalla folla, possiamo vedere la formazione “a parte” dei discepoli del maestro di Nazareth e il percorso catecumenale delle prime comunità cristiane. L’«Effatà», efficacemente esplicitato nel rito, abilita e indica l’apertura all’ascolto e alla proclamazione della Parola di Dio del battezzato. Come per il sordomuto, è solo l’ascolto (della Parola di Dio) che scioglie il nodo della lingua (e della vita) e fa parlare correttamente il discepolo. Prima con la vita e poi con le parole.
Proseguendo la riflessione si può applicare l’apertura del discepolo di Gesù ad un ambito relazionale: il battezzato che vive il Vangelo diventa una persona aperta all’ascolto e alla comunicazione con il proprio prossimo.
Infine possiamo apprezzare l’attualità del brano se lo immergiamo nel nostro tempo e, in particolare, nel modo di produrre e vivere la comunicazione della nostra società. Il vangelo ci apre ad una consapevolezza nuova di fronte alla sovrabbondanza di comunicazione e informazione che minaccia di travolgerci e ci dà delle indicazioni che vediamo spesso disattese proprio dai discepoli di Cristo. Il cristiano dentro il mondo digitale è invitato ad un ascolto attento e prudente, ad evitare superficialità e creduloneria, a non essere diffusore di calunnie e false notizie. Così come, nell’esprimere il proprio pensiero, sarà attento a non fomentare stili aggressivi o inutilmente conflittuali. Ripetendosi più volte la sapiente osservazione secondo cui Dio ci ha creati con due orecchie e una bocca, per cui occorre ascoltare almeno il doppio di quel che si parla.
E alla fine di un ascolto orante e approfondito di questo brano, scopriamo di essere proprio noi il sordomuto aperto da Gesù alla ricerca dentro la Scrittura.
Non solo le mie orecchie sentano, non solo la mia lingua si sciolga, ma il mio cuore e tutto il mio essere si aprano al tuo Spirito e agli uomini, perché Gesù di Nazareth passi in mezzo a noi, passi dall’uno all’altro, comunicato da ognuno ad ogni altro.
Un monaco della Chiesa d’Oriente
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Tutto può essere utile per aprire le nostre orecchie e le nostre menti ai significati più profondi della Parola di Dio. Anche la geografia. Dopo essere stato per qualche tempo nella Fenicia, regione pagana, Gesù parte da una città di quella zona, Tiro e, invece di scendere verso sud-est in Galilea, sale per 25 km fino a Sidone e poi scende con una larga curva per stare fuori dai confini di Israele, fino ad attraversare tutto il territorio della Decapoli. In queste pagine di vangelo Gesù decide di stare ai margini, in terra pagana, disprezzata, periferica rispetto al mondo ebraico. Questa indicazione, unita alle tante sollecitazioni delle altre letture e del salmo, inquadra la Parola di Dio di questa domenica dentro la rivelazione di un Dio che compie meraviglie, preferibilmente per i marginali, gli ammalati, gli «oppressi», gli «affamati», i «prigionieri», i poveri e tutti coloro che sono disprezzati e umiliati, un Dio che «fa udire i sordi e fa parlare i muti».
Ci fermiamo ora sull’episodio evangelico leggendolo inizialmente in superficie: è un racconto di un miracolo di guarigione. Alcuni portano da Gesù un sordomuto. Come altri hanno “portato” il paralitico e altri ancora “porteranno” il cieco di Betsaida. È una persona ferita dalla malattia nella sua autonomia e nella sua capacità di relazione. Gesù, invece della semplice imposizione delle mani suggerita, prende in disparte l’ammalato e usa una procedura terapeutica più complessa: gli pone le dita sugli orecchi e, bagnando il dito con la saliva (la quale, secondo la medicina pagana, possiede una forza curativa), sulla lingua. I movimenti delle mani di Gesù sono accompagnati da un intenso atteggiamento orante: leva gli occhi al cielo a stabilire un contatto con il Padre ed emette un gemito, che esprime un forte coinvolgimento ed emozione. Poi l’imperativo in lingua aramaica: «Effatà», cioè: «Apriti!». Segue la guarigione completa, innanzitutto dell’udito e poi del linguaggio, in due tempi. Infatti la capacità di parlare correttamente dipende anche dalla capacità di udire. E la guarigione implica una riappropriazione della propria autonomia e una integrazione sociale. Il segreto messianico chiesto da Gesù e non rispettato, e lo stupore concludono il brano.
Scavando nel brano ad un livello di significato più profondo e tenendo conto delle influenze che questo brano ha avuto sulla liturgia battesimale, ci accorgiamo che il racconto non è solo la storia di un ammalato, ma in filigrana anche la storia di ogni catecumeno e di ogni discepolo. Infatti, nella celebrazione del sacramento del battesimo i gesti e le parole di Gesù sono riproposti nel cosiddetto “rito dell’Effatà”. Ecco, allora, gli anonimi che portano il sordomuto a Gesù prendere i volti di una comunità che accompagna ed ecco che, nel “prendere in disparte”, al di fuori dalla folla, possiamo vedere la formazione “a parte” dei discepoli del maestro di Nazareth e il percorso catecumenale delle prime comunità cristiane. L’«Effatà», efficacemente esplicitato nel rito, abilita e indica l’apertura all’ascolto e alla proclamazione della Parola di Dio del battezzato. Come per il sordomuto, è solo l’ascolto (della Parola di Dio) che scioglie il nodo della lingua (e della vita) e fa parlare correttamente il discepolo. Prima con la vita e poi con le parole.
Proseguendo la riflessione si può applicare l’apertura del discepolo di Gesù ad un ambito relazionale: il battezzato che vive il Vangelo diventa una persona aperta all’ascolto e alla comunicazione con il proprio prossimo.
Infine possiamo apprezzare l’attualità del brano se lo immergiamo nel nostro tempo e, in particolare, nel modo di produrre e vivere la comunicazione della nostra società. Il vangelo ci apre ad una consapevolezza nuova di fronte alla sovrabbondanza di comunicazione e informazione che minaccia di travolgerci e ci dà delle indicazioni che vediamo spesso disattese proprio dai discepoli di Cristo. Il cristiano dentro il mondo digitale è invitato ad un ascolto attento e prudente, ad evitare superficialità e creduloneria, a non essere diffusore di calunnie e false notizie. Così come, nell’esprimere il proprio pensiero, sarà attento a non fomentare stili aggressivi o inutilmente conflittuali. Ripetendosi più volte la sapiente osservazione secondo cui Dio ci ha creati con due orecchie e una bocca, per cui occorre ascoltare almeno il doppio di quel che si parla.
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