In visita: disagi da ospite lontano da casa e sussulti danzanti di gioia
Dal vangelo secondo Luca (Lc 1,39-45)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Il vangelo di questa settimana ci narra la fretta di Maria in cammino verso una non specificata città di Giuda, sulle montagne, per andare in visita alla cugina Elisabetta, citata dall’angelo annunciante poche pagine prima.
Sui motivi di questo viaggio e di questa fretta si sono fatte molte ipotesi: da quella esemplare e morale di una Maria caritatevole che va dalla anziana cugina in gravidanza a dare una mano ad una Maria che ha premura di verificare le parole di Gabriele. Molto probabilmente la finalità principale del viaggio non va cercata né esclusivamente nel servizio né, tantomeno, in un dubbio relativo all’annuncio angelico, che smentirebbe l’atteggiamento fiducioso della ragazza a Nazareth. Maria parte in fretta molto probabilmente nel desiderio di contemplare l’azione potente e salvifica di Dio nel segno della tardiva gravidanza di Elisabetta.
Luca non si sofferma sui pensieri di Maria durante il viaggio: non ci dice i dubbi della giovane sul modo di comunicare ad Elisabetta quanto successo nella casa di Nazareth e il ruolo che le parole dell’angelo hanno assegnato alla gravidanza della anziana parente. In realtà sarà sufficiente un saluto da parte di Maria e tutto accadrà quasi spontaneamente: il sussulto gioioso e danzante del bambino di Elisabetta, il suo essere colmata di Spirito Santo e le sue esclamazioni a gran voce.
Il brano, da una parte, allude al ballo del re Davide davanti all’Arca dell’Alleanza durante il suo spostamento a Gerusalemme, come è raccontato dal secondo libro di Samuele: Giovanni nel grembo di Elisabetta è il nuovo David che danza di gioia davanti al suo Signore e Maria è l’Arca di Dio che porta la presenza di Dio nel mondo.
Dall’altra, l’icona biblica della visitazione può stimolare una interessante riflessione sulla missione della Chiesa nel mondo di oggi: le comunità cristiane occidentali, simboleggiate da Maria, si trovano a portare la presenza di Cristo in un mondo secolarizzato, apparentemente materialista e vuoto di ogni riferimento a Dio. Dopo secoli caratterizzati da una società considerata tutta cristiana, il disagio di ritrovarsi in una casa non propria si fa sentire. Ma proprio nel disagio di sentirsi ospiti e quasi in diaspora, nel portare con sé solo un saluto di pace e il proprio mettersi a servizio, si attivano quelle vibrazioni che fanno scoprire lo Spirito già al lavoro dove non si immaginava e la presenza di Dio, magari embrionale e inaspettata, dentro grembi lontani e diversi da noi.
Solo nella rinuncia al rimpianto di un’epoca di cristianità ormai persa e nell’accettazione di un tempo di secolarizzazione e di una condizione di minoranza (così particolari ma così affini a quelli delle comunità cristiane delle origini) la Chiesa potrà cantare il suo magnificat. E gli uomini di questa epoca avranno la possibilità di scoprire, con un sussulto danzante di gioia, il senso dei loro laicissimi amori, passioni e impegni dentro quella presenza custodita, vissuta e annunciata dai discepoli di Gesù e, tuttavia, già misteriosamente operante in loro.
In questi ultimi tempi mi sono convinto che l’episodio della Visitazione è il vero luogo teologico scritturistico della missione nel rispetto dell’altro che lo Spirito ha già investito.
p. Christian de Chergé
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